Dalla Biennale di Venezia, un set di risposte possibili all’interrogativo How will we live together?
Una progettazione visionaria per vedere oltre la crisi e oltre gli ostacoli. Un confronto con la Natura che si snoda attraverso immagini legate all’emergenza climatica, o con riferimento ad un immaginario tecnologico da laboratorio. Nuovi modelli abitativi per affrontare la complessità della crisi globale, attraverso l’accessibilità e l’apertura degli spazi pubblici. Queste alcune delle risposte del curatore della nuova Biennale di Architettura di Venezia, Hashim Sarkis, che si interroga su How will we live together?
L’architettura come mezzo o come fine, non necessariamente da tradursi in opere di design. Sembra essersi concluso, almeno con la Mostra di Venezia, il tempo delle archistar (e se ne nota l’assenza anche scorrendo l’elenco dei professionisti e critici coinvolti dal curatore Sarkis ad esporre e presentare le proprie idee di interpretazione del tema).
L’architettura è anche azione politica, è scelta capace di delineare l’imprevedibile, di adattarsi ai cambiamenti. L’architettura come spazio temporaneo dove la gente si raccoglie, dove si facilita l’integrazione. Con la sua Biennale, Sarkis ha sottolineato come guardando al futuro “non servano architetture per una funzione che evolve, ma progetti capaci di anticipare il futuro, più resilienti e accomodanti per un tempo che cambia”.
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